L’Infiorata di Cusano Mutri. La partecipazione corale di una comunità ritrovata

Difesa dalle montagne che fanno da cornice al borgo medievale, la sannita Cossa sembra chiudersi in una conca che richiama figuratamente l’etimologia del nome. Il nome, che significherebbe coppa sembra già evocare un rimando alla tradizione dell’Infiorata e a questa simbologia floreale, in quanto ne ricorda la forma a calice del fiore. È al passaggio del Corpus Domini che gli abitanti di Cusano Mutri si preparano per l’Infiorata. Tra le montagne di Bocca della Selva, di Pietraroja e tra i boschi di S. Felice è un alternarsi di anziani, giovani, bambini, tutti impegnati nella raccolta di orchidee selvatiche, fiori di acacia, ginestre, bacche di tuia, foglie di bosso, romice, qui chiamato lingua di bue.

A stretto contatto con la natura si sprigiona quell’intimità del gruppo che si coltiva nell’appartenenza. L’esempio di comunità non chiusa in se stessa poiché sa coinvolgere e rendere partecipe il visitatore; la manifestazione del dono che si palesa attraverso lo scambio simbolico insito nell’evento; la difesa identitaria e la rigenerante attività giovanile che si sprigiona contro l’inquietudine e il disagio; tutto ciò è stato documentato in questo paese che non si limita a conservare la tradizione, ma la ricrea, la genera, offrendola al visitatore che difficilmente rimane spettatore.

“Sono sicuro che alla fine della giornata verrà voglia anche a voi di collaborare per la realizzazione delle opere. Siamo portatori sani di bellezza! Chiunque viene a farci visita, lentamente poggia il piede nel perimetro del quadro disegnato a terra, e inizia a chiedere: <>, e incominciano a lavorare con noi”, commenta Carodio Scarpato, abitante di Cusano e attivista della Proloco; e nel mentre con estrema accortezza stende e allarga i fiori di ginestra posati sul pavimento, affinché questi non si surriscaldino, appassendo.

Seppure è tradizione abbastanza comune infiorare le strade per il passaggio della processione del Santissimo Sacramento, in questo paese la dominante distintiva e singolare la offre appunto il paesaggio.
Tutto il materiale impiegato per questi tappeti è offerto dalla natura; le montagne circostanti donano una quantità sorprendente di fiori e erbe utili per la realizzazione delle opere.

La conoscenza dei luoghi dove ricercare i fiori è indispensabile e prevede una riappropriazione
degli spazi, un conferimento di senso al luogo vissuto, interiorizzato che rimanda al concetto di domesticità. Un appaesamento ben riuscito che realizza una familiarità del quotidiano. Ecco, la sensazione è proprio questa a Cusano: il contagio della condivisione resa appunto possibile dall’agio dell’appaesamento.

La cultura condivisa che non è adattamento ma forza rigeneratrice, qui si esplica nell’evento dell’Infiorata che diventa “progetto comunitario secondo valori, un’intenzione valorizzatrice, uno slancio consentito dal rapporto forte e intimo dei cusanesi con la natura e l’ambiente che li protegge”, ci tiene a specificare il Sindaco Pasquale Frongillo.

Tutto il lavoro per il giorno dell’Infiorata ha inizio molto tempo prima dell’evento in sé che
coincide sempre con il Corpus Domini. Durante tutto l’anno la comunità di Cusano si presta alla ricerca del materiale da lavoro per la realizzazione dei variopinti tappeti floreali. “Sono mesi che entro nei bar per procurarmi la posa del caffè consumato. Dopo l’essiccazione viene filtrata, ridotta in polvere e conservata. Il giorno della decorazione viene distribuita per realizzare i contorni dei disegni” spiega Loredana Maturo, Presidente della Proloco.

Ma è solo una piccola percentuale dei tappeti, che coprono all’incirca i 2.500 m² di superficie
stradale, che viene realizzata con materiale di scarto non offerto direttamente dalla natura. Questa è la regola: servirsi di tutto ciò che le montagne concedono spontaneamente. Così i capelli del Cristo nella Chiesa di San Giovanni Battista, non sono altro cheinfiorescenze del castagno, raccolte e fatte essiccare se si vuole ottenere una chioma castana, o bruciate in forno se la chioma appartiene ad un cherubino bruno. Ma se il colore non si intona con l’idea del volto che vuole essere poi raffigurato secondo un’idea di bozzetto presentata solitamente a marzo agli organizzatori della Proloco Cusanese, allora occorrerà ricercare e conservare un altro tipo di infiorescenza, più chiara che renda meglio la raffigurazione artistica pensata. Forse il fiore del noce sarà più adatto allo scopo.
La conoscenza qui è ampia, è adatta ad ogni tipo di uso e nasce spontanea, seguendo gli adulti i bambini apprendono e suggeriscono, improvvisano e creano.
Gli aneddoti e i racconti cadono a pioggia, frutto di ritualità codificate che si tramandano, come il racconto di Lucia Franco. Delicatissime rose dal colore tenue che crescono su un albero spinoso sarebbero adatte per decorare i volti così difficili da ottenere con materiale diverso. Eppure Lucia
oltrepassa l’albero e spiega: “Quella è la rosa canina, qui chiamata rosa janara. Non si raccoglie perché si racconta che quando passi sotto quell’albero e ti appropri delle rose, la notte le streghe possono venire a farti visita, noi per scongiurare l’arrivo diciamo ‘sapt oje’, che significa ‘oggi è sabato’, si dice così per ingannare le streghe che viaggiano il martedì e il venerdì ma non il sabato”.

I racconti sono anche un trasporsi di idee e di insegnamenti. Non tutto può essere impiegato e di fronte ad un campo sterminato di papaveri il nostro viaggio prosegue, non è quello il luogo adatto perché quei fiori hanno petali che non resisterebbero al sole; pochissime acacie bianche quest’anno perché ha piovuto in abbondanza; e allora come ottenere i colori che necessitano?

“C’è chi usa la segatura, la polvere di marmo, ma la regola vuole che la gran parte venga realizzata con fiori e derivati. Io per il Cristo ho impiegato materiale finemente tritato per poter realizzare sfumature che con le infiorescenze sono più difficili da ottenere. Quindi per ricreare le ombre e i chiaroscuri sul volto mi sono servito della sabbia e della sansa, ottenuta dallo scarto dei noccioli di olive” sostiene Antonio Linfante che ha realizzato l’idea di un Cristo variopinto nella Chiesa della Madonna delle Grazie, dal titolo ‘Venite a me bambini’.

“Si ma lui può farlo, è l’artista. Lui guida tutti noi e alla fine il suo diventa un capolavoro. Noi lo aiutiamo ma è lui che dirige. È lui che sa. Lui è ‘o Professore, ‘o mast!” suggerisce Luigi Franco, mentre si occupa del riempimento della greca con la posa di caffè, “nuovo esperimento di Tonino, che ha voluto osare quest’anno con un lavoro di precisione disegnando anche la greca al contorno del quadro”.

Esistono ruoli ben delineati e una collaborazione partecipe. Il ruolo disegna un profilo, pian piano una storia e Tonino realizza l’aspettativa riposta in lui dai suoi aiutanti con dedizione, serietà ma anche con una chiassosa felicità. Qui si realizza l’essenza del dono e si attiva uno scambio reciprocitario tra tutti i partecipanti.
Interi gruppi familiari si adoperano alla ricerca dei fiori tra i campi; chi non vive più a Cusano ritorna da sempre per partecipare alla preparazione dei quadri, e la festa diventa simbolo coreutico e rappresentazione collettiva che disegna la strada dell’incontro.

Elisa e Gianni da anni realizzano il loro tappeto sulle orme di Caravaggio e sono gli unici a creare ai piedi del preziosissimo altare in legno nella Chiesa di San Pietro e Paolo un tappeto di polvere colorata ottenuta dalla miscela di fiori essiccati durante tutto l’anno. Elisa si preoccupa di recuperare il materiale floreale dalle cerimonie che si svolgono in chiesa e provvede all’essiccazione e alla macinazione dei fiori recuperati. Da questi ottiene una polvere profumata e finissima di blu, rosa, giallo, grigio.
“Ogni anno il nostro tappeto viene dedicato a qualcuno che ci ha abbandonato. Quest’anno il volto della Madonna tratto da ‘Le sette opere di Misericordia’ di Caravaggio, è stato decorato con la polvere dei fiori regalati ad un nostro caro amico che ci ha lasciati poco tempo fa e che era sempre qui con noi ad aiutarci nella preparazione dell’Infiorata”, racconta Elisa Iamartino.
Non dimentica questa gente, imprime un segno del loro ricordo nell’opera da realizzare e anche nel giorno di festa il pensiero è rivolto a chi ha condiviso, ha partecipato, ha contribuito a formare comunità. Come ha confermato Tonino che commosso guarda il tappeto e ritorna con il pensiero all’amico di Infiorata che non c’è più e a lui dedica anch’egli il suo capolavoro di perfezione. Questa gratitudine è un esporsi all’altro in una manifestazione di solidarietà che realizza una forte identificazione.

Dopo la raccolta arriva il momento del disegno per strada durante la notte del sabato, prima della festa. All’alba il paese d’improvviso si inonda di voci, colori, profumi, e i disegni prendono corpo, tutto è pronto, l’offerta simbolica al Cristo è adempiuta, lo spazio del quotidiano si trasformerà in spazio sacralizzato. Ed è sera.
La Processione del Corpus Domini calpesta i tappeti; il parroco, Don Pasquale, guida con passo indeciso, grato per tale affezione popolare, i fedeli sulle opere dedicate al Cristo. Al passaggio tutto viene distrutto, non rimane che la risoluzione salvifica di uno scambio simbolico, e questa distruzione presuppone una prossima rinascita.

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